venerdì 14 dicembre 2012

Averno

Salvatore Averno è un siciliano.
Nella vita reale, nel pragma quotidiano cioè,
è un umile bracciante disoccupato,
che saltuariamente "travagghia" per un geofita dalla barba ispida e rossastra.
A quarant'anni Salvatore viene colpito da un ictus cerebrale e finisce in coma.
Si ritrova così, del tutto inopinatamente, nell' "aldilà", come visitatore
temporaneo -ed estemporaneo-,
non essendo ancora giunta la sua ora.
Guardandosi attorno, Salvatore si accorge di essere finito all' "inferno":
o almeno in ciò che sembra essergli tale.
Questo "inferno", infatti, presenta i caratteri tipici, cioè "moderni"
di un dormitorio confinato alla
periferia di una grande città, nella fattispecie di Roma:
palazzoni squallidi e grigi, puzza di smog,
feci di cane sui marciapiedi simile a glosse
di un incubo,
bus della atac colmi di infelici dai volti sfuggenti...
La zona, cioè l' "inferno", si trova in via Monteburralto,
prati fecali, pardon, fiscali:
ma potrebbe essere uno qualsiasi degli infiniti e abietti
dormitori di Roma, il predestino, il casilino, etc. etc.

A un certo punto, in mezzo allo smog, al traffico,
ai pendolari dal volto fugace e infelice,
alle feci di cane sparpagliate sui marciapiedi -
a un certo punto, mentre Salvatore, stordito,
cerca di comprendere il caos che lo circonda,
gli si fa avanti P., un poeta estinto,
massacrato a Ostia l'anno in cui nacque il bracciante
siciliano, ora in coma.
"Ma , tu, tu, sei P.!" esclamò il bracciante.

"Si, Salvatore. Io sono P.
Lo so, in questo momento, mio caro, vorresti
essere a Sabaudia, sull'arenile, a guardare il mare
di gennaio in compagnia di un amico o di Madalina,
stringendole e riscaldandole la mano.
Vorresti guardare in faccia la burrasca, battuto
dall'impeto del vento: e trovare lì la fonte
di una forza imperitura, che tu, confusamente,
chiami "Amore"...
Tuttavia ho un compito.
Cioè ho un dovere, nei tuoi confronti.
Io devo insegnarti cosa è l'Inferno; e cosa è il Paradiso,
perchè è ora che tu li comprenda, entrambi...
Il purgatorio, semplicemente, non esiste:
è una finzione, cioè un'invenzione dei preti.
L'inferno, invece, è reale.
Come questo dormitorio.
Tuttavia non è sufficiente riconoscerlo.
Bisogna fare di più: combatterlo tutta la vita,
opporsi ad esso, cercare di sconfiggerlo.
Solo lottando contro l'Inferno, infatti,
non si diventa l'Inferno.
Viceversa chi si arrende all'Inferno diventa l'Inferno.
Naturalmente, come puoi intuire, questa lotta, titanica,
non ha garanzia alcuna;
anzi l'insuccesso è quasi la regola.
Ma tu, mio caro, non hai scelta:
e non hai scelta perchè non vuoi scelta".

"E il Paradiso? -domandò il bracciante-
Cosa devo sapere a proposito di esso?"

"Il Paradiso devi scoprire tu cosa è.
E, una volta scoperto, devi custodirlo.
Esso, infatti, non è perenne.
Anzi: il Paradiso è fragile e sfuggente, come le ali d'una farfalla.
Questo è ciò che devi sapere intorno ad esso."

"Ho finito Salvatore.
Non mi resta quindi che congedarmi; e sperare per te."

Così dicendo il poeta si voltò, scomparendo.

Salvatore uscì dal coma.
Aperse gli occhi, quindi.
Ora era lì, da qualche parte, sull'arenile,
sferzato dal vento gelido di gennaio:
solo, naturalmente, come sempre nella sua vita,
a contemplare per l'ennesima volta l'ululio del mare.
"Cosa voleva dirmi il Poeta mentre ero nel Limbo?"
"E tu, Mare
-gridò-
cosa hai da dirmi che ancora non so?
cosa hai da darmi che ancora non ho?"

"Mare, ruggito di vento,
io non ho limbo,
io non so vivere d'oblio;
io, maledetto,
sono maledetto, come te;
e la mia rabbia è la tua.
Ruggito di vento,
sputo salmastro,
turbine di sabbia...
sabbia, sabbia,
solo sabbia
che si perde
senza sosta
nell'infinito
del mio nero orizzonte..."