venerdì 29 giugno 2012

l'auspicio

Alcuni pervertiti (Baldracchi, la signora Averno) sono convinti, non senza una intima letizia,
che molto presto capitolerò dinanzi alla superstizione galilea.
Un tale auspicio naturalmente è ripugnante: tuttavia, con calma solare e impassibile,
lascio che gli stolti parlino.
Dinanzi alla miseria di coloro che, incapaci di accettare la morte,
cercano salvezze oltremondane,
mi volgo all'esempio luminoso di quell'uomo che, silenzioso e fermo,
prima di spirare, anzichè baciare febbricitante la nauseabonda croce giudia,
si voltò per l'ultima volta verso il Gianicolo

e infine, con la fronte levata, abbassò le palpebre.

mercoledì 27 giugno 2012

Cui prodest?

Cui prodest la descrizione di una realtà efferata?
Efferata solo per colui che la descrive, naturalmente.
Prodest descriptori è la risposta.
Che il descrittore sia malvagio, perverso, crudele, tutto ciò è un fatto.
Potete quindi concludere senza difficoltà che il descrittore è
un animo ignobile che gode nel rappresentare le sventure altrui,
al solo fine di riderne a crepapelle.
Ma c'è dell'altro.
Egli ha bisogno di rappresentare sventure per la stessa ragione che induce
lo spettatore di Lucrezio ad assistere alle calamità che affligono i mortali.
Quando vede sprofondare il prossimo, lo spettatore superstite prova
una consolazione profonda, dovuta al fatto di averla fatta franca.
Quando toccherà a lui inghiottire il fiele che il destino gli riserva,
dirà sereno: "Eccomi, sono pronto"; e sporgerà il capo dalla carrozza come fece Cicerone.


Tutto ciò, naturalmente, in sede ideale.
In sede "materiale", molto probabilmente, egli si limiterà ad un'ultima bestemmia.

martedì 26 giugno 2012

il mostro

Alfia Q.Bel Marrazzi è fisicamente un mostro.
Alta un metro e quarantasette, centoundici chili di lardo, pelle grigiastra e incartapecorita, sembra afflitta dalla malattia dell'uomo elefante.
A dar retta alle fregacce sulla metempsicosi, cui credeno alcuni baccalà come Closeau, si sarebbe indotti a concludere che, incarnata in un sudario orripilante, l'anima di Alfia sconti in tal modo
la (metafisica) sanzione per una qualche empietà perpetrata in una precedente vita...
Il fato, crudele, oltre ad essersi accanito sul corpo di Alfia, l'ha privata di quasi tutti
gli affetti di cui normalmente un essere umano è circondato: senza più genitori nè fratelli,
gli resta soltanto un "amico" di cui è follemente innamorata: un facoltoso geometrino, insicuro
e maldestro, conosciuto all'università.
Il geometra, bruttino, anch'egli afflitto da lievi menomazioni fisiche e intellettive (naso "a pippa", rossore al volto, altezza e pene al di sotto della media, tutta una serie di turbe psichiche e mentali che qui sarebbe troppo lungo elencare) frequenta assiduamente Alfia, quasi per una legge naturale che congiunge i simili: in questo caso gli "scarti" di una società
falsamente cristiana e solidale, il cui parossistico credo estetico è la misura di ogni cosa.
Nonostante ciò, il geometrino non riesce ad accoppiarsi con Alfia, mentre è attratto dai corpi sani e giovani delle adolescenti rumene (e non).
Inoltre il geometrino, a causa del pessimo esempio ricevuto da un lussurioso siciliano
che lo trascina con sè in squallidissime esperienze erotiche, prende il vizietto delle "mamme
ignote"...
Alfia dopo un pò scopre che l'amato la tradisce con donne a pagamento:
addolorata, colma di odio e disgusto, lo aggredisce pubblicamente come se fosse legata a lui da
un vincolo matrimoniale...
Il geometra subisce in silenzio le ingiurie di Alfia e infine, per la vergogna, si impicca
nel bagno del suo ufficio.
Alfia, disperata e sola, si consolerà per il resto dei suoi giorni ingozzandosi
di pizzette e dolci.
Morirà, vergine, a sessanta anni.

domenica 24 giugno 2012

la mummia

Delia Zaganelli ha quaranta anni.
Laureata in economia e commercio, ritiene che le quattro minchiate studiate all'Università, unite
al "pezzo di carta" ottenuto attraverso duri sacrifici nozionistici, rappresentino uno dei massimi traguardi della vita; non comprendendo invece che tale pezzo di carta altro non è che il passaporto del plebeo alla scalata sociale.
Non tutti sanno che Delia è ancora vergine.
L'unico "rapporto" che ha avuto in vita sua è stato un petting sfrenato con un magrebino conosciuto
in una discoteca di Rimini.
Delia purtroppo invecchia a vista d'occhio.
Da ragazza non era brutta, ora assomiglia sempre più ad una mummia.
Le carni flaccide pendono senza grazia da un corpo a forma di lavatrice, le rughe infestano ogni angolo della sua epidermide, al pari dei cadaveri risecchiti degli egiziani.
Delia inoltre esala un odore non proprio gradevole, come di mestruo secco, legato forse a cattiva igiene.
Nonostante ciò, ella si ritiene ancora una donna avvenente, in grado di sedurre:
purtroppo però la realtà non sembra essere dello stesso avviso e di fatto neanche un cane
si degna di corteggiarla.
Le sue frequentazioni (per lo più plebaglia comunista che crede di rappresentare il non plus ultra dell'umanità per il fatto di avere un tetto sopra la testa) non le offrono esemplari interessanti di maschi: così si accontenta di andare al cinema o a ristorante con due o tre zitelle che come lei condividono lo stesso mummiesco destino.
Ella, inoltre, nutre una simpatia per un facoltoso geometra di destra, insicuro e maldestro, a cui tuttavia non si degna di offrire la vulva.
Il geometra però non è affatto attratto da lei, poichè frequenta giovani escorts rumene, infinitamente più belle e avvenenti della mummiesca amica.
Un giorno d'estate, in uno stabilimento balneare, Delia conosce un ballerino brasiliano, un certo Carlos.
I due fanno amicizia, la sera escono, vanno a ballare in discoteca e Carlos infine la fotte, senza preservativo.
La settimana dopo Carlos scompare, alla volta di Milano.
Poco tempo dopo Delia avverte dei fastidiosi pruriti alla vulva: dopo accurati accertamenti
medici scopre di aver contratto (con ogni probabilità dal ballerino brasiliano)
una grave malattia venerea, un certo papilloma virus, con esiti
degenerativi neoplastici.
Purtroppo la malattia degenera e Delia contrae un cancro maligno alla vulva.
Comincia così per la disgraziata un terribile calvario: gli interventi chirurgici,
la chemioterapia aggravano le sue condizioni; ormai ridotta ad uno zombie,
i medici le pronosticano poche settimane di vita.

Arrivata a questo punto, Delia chiama infine il suo amico geometra, cui non si era concessa.
"Ti prego -gli dice in lagrime- amami tu un'ultima volta!" e socchiudendo
gli occhi gli porge le labbra per un bacio.
Il geometra, disgustato, le bacia le labbra.
"Avanti, adesso amami!" insiste lei togliendosi le mutande.
Il geometra, ancor più disgustato, la masturba sul clitoride, fino a farla godere.
Delia gode, gracchiando istericamente come una cornacchia.
Infine il geometra va a lavarsi le mani; poi se ne va, senza salutarla.
Un tempo l'avrebbe scopata, quando ancora non era una mummia...

la negra

Fabux Minchiarelli ha quarantadue anni.
Non ha mai infilato il pene in una vulva.
Vive in campagna con i genitori e due sorelle, entrambe minorate mentali.
Lavora come ragioniere per una ditta di carta igienica sulla via bontina.
Culturalmente prossimo allo zero, vota a sinistra per intuibili ragioni legate alle
origini cattolico plebee della sua famiglia (contadini calabresi trapiantatisi nel pontino).
Fabux conduce una vita mediocre, quasi fantozziana: malpagato, vessato da superiori e colleghi arrivisti, scartato sistematicamente dalle donne, si consola masturbandosi sino a notte fonda
dinanzi a trasmissioni televisive erotiche.
Sessualmente è inspiegabilmente attratto da donne ripugnanti: in special modo gli scarti
di sagrestia, le zecche, l'immondizia umana dei centri sociali, esercitano su di lui una potente suggestione carnale.
Un giorno, passando per la via bontina per recarsi al lavoro, scorge una negra col seno scoperto: giovane, con un fisico da modella, la prostituta lo saluta e gli fa cenno di fermarsi da lei.
Come in preda ad un raptus, il ragioniere inchioda e scende dall'auto.
Pallido, sudato, terrorizzato, raggiunge la negra.
Si chiama Riza, sorride ed è gentile.
"Zordi amore"
"Si...quanto?"
"Vendi amore"
Il ragioniere le consegna la banconota da venti e la negra lo porta dietro una fratta, gli cala i calzoni e glielo prende in mano.
Divorato dalle zanzare tigre, dopo quindici secondi, Fabux eicula per terra, in mezzo ad una sporcizia
che farebbe impallidire qualsiasi uomo civilizzato.

Poi succede l'incredibile.
Fabux si innamora di Riza.
Per un anno va a trovarla quasi ogni giorno, le porta ciberie e bevande, le regala profumi e ingenti
somme di denaro.
La vuole sposare, ad ogni costo.
La negra gli spiega che non può smettere di prostituirsi finchè non avrà pagato alla mafia nigeriana
una somma pari a ventimila euro.
Il ragioniere le promette che troverà i soldi, a qualsiasi costo:
dopo un mese, impegnando la casa dei genitori, riesce ad ottenere un prestito dalla propria banca.
In preda ad una felicità mai provata in tutta la vita, Fabux comunica per telefono
la bella notizia a Riza, mette i soldi in una busta, monta in auto e parte alla volta dell'amata.

Il sogno di Fabux purtroppo non si sarebbe realizzato.
Un ubriaco dell'est alla guida di un furgone rubato andò a schiantarsi a più di 160 km orari
addosso alla fiat uno del povero Fabux.
Con trepidazione Riza fissò la bontina tutto il giorno.
Il salvatore non sarebbe giunto.

sabato 23 giugno 2012

aldo carezza

"La potenza che ha condotto alla caduta è quella stessa attraverso cui si può conseguire
la liberazione" (principio tantrico)

"Misericordioso è colui che sopprime ciò che è immondo" (Brahmana).

Aldo Carezza sembrava nato sotto il segno della dannazione.
Disoccupato, quarant'anni, viveva con lo zio, ex bidello elementare.
Saltuariamente, per guadagnare qualche spicciolo per una birra, faceva il muratore,
il buttafuori, lo scaricatore e altri lavori spaccaculo.
Poi, un giorno, l'anziano zio spirò, lasciando al povero Aldo vari buffi.
I creditori dello zio lasciarono Aldo in mutande, senza casa e senza speranze.
Gli restava solo un camper scassato e senza assicurazione, dove almeno poteva dormire.
D'inverno schiattava dal freddo e d'estate lo divoravano le zanzare tigre.
Non fotteva da quasi vent'anni, andava avanti con la mano callosa.
I denti gli caddero tutti, uno ad uno.
Per campare zappava la terra tredici ore al giorno nei campi di Campozelone, per venti euro
al giorno (in nero ovviamente) in compagnia di negri, cingalesi e rumeni.
Un giono, nei pressi del camper dove albergava, vicino a un cassonetto d'immondizia,
trovò un libro, un'antichissima raccolta di testi sacri della tradizione indiana: i Veda.
Aldo raccolse il libro e lo lesse: parola dopo parola, scoprì un mondo nuovo.
Un mondo fatto di luce, spirito, potenza: di riti, iniziazioni, magia, sacrifici, purificazioni.
A contatto di quel mondo, Aldo si sentì elevato e purificato dalla bestiale
vita materiale che era costretto a condurre per un tozzo di pane e una birra.
Giunse così ad una definitiva scelta esistenziale: abbandonò per sempre la turpe e brutale schiavitù del lavoro, del danaro, del bisogno materiale.
Padrone della propria esistenza, radioso, sereno, fortificato, incrollabile, lo si incontrava
facilmente giù al lago di Zemi, solo, a pregare in silenzio, all'alba o al tramonto.

Il suo tragitto su questa terra durò cinquantasei anni.
Gli amici lo trovarono nel suo camper.
Un sorriso ornava le sue labbra.
Lo seppellirono in un campo di agrifoglio.
Quel giorno il sole splendeva.

venerdì 22 giugno 2012

arjuna

Ecco un modo interessante di "amare" il prossimo: scoprire ed individuare le gangrene che gli corrodono e corrompono lo spirito; scovare e illuminare le oscure forze distruttrici che lo trascinano verso l'oscurità e il baratro...
Tuttavia il sapore della maledizione è troppo personale ed intimo perchè lo si voglia condividere
con occhi indiscreti: e così non troverete quasi mai qualcuno che
vi sarà riconoscente per avergli indicato la propria piaga.
Vi chiederete: e perchè mai dovrebbero interessarti le piaghe altrui?
Io naturalmente non vi risponderò, per farvi un torto.

Ecco la mia opera...

Quando un'anima pia (un a.r. o un grey ad esempio) si scandalizza dinanzi a parole
evocatrici come "fallito" o "fallimento", essa ci mostra innanzitutto il proprio puerile terrore dinanzi
ad una piaga di cui è portatrice; e non anche, invece, una superba superiorità e indifferenza al destino, sopratutto quando è avverso (Paterbaldi).
Destino, si badi, che non esiste: solo chi, esangue, ha esaurito la propria forza e smarrito la propria volontà può infine "piegarsi" ad un'idea talmente astratta ed insignificante.

Laddove (nella disgrazia) il superiore resta calmo e padrone di sè, l'infero invece si consuma.
Si sappia dunque, una volta per tutte, che io amo taluni "falliti": perchè in essi vedo
potenziali resurrezioni.
Se poi essi affonderanno, pazienza.
Ad alcuni "orientalisti" da strapazzo, che consultano i Ching prima di uscire di casa o farsi una pippa, che barcollano nel buio e cui tanto repugna l'idea di fallimento,
ricordiamo provocatoriamente il principio espresso nella Bhagavadgita dal dio krishna: non il vincere, non il fallire, non il risultato, deve guidare l'azione; ma solo l'aver adempiuto al proprio dovere.
E non chiedetemi quale sia o in cosa consista questo oscuro "dovere" di cui parla il dio:
ognuno, infatti, è libero di interpretare come vuole.
L'unico dovere ammissibile, è quello impostoci dalla nostra coscienza, di là di ogni contingenza.
E tanto basti.


Infine, buttiamo giù la maschera: Alex Colosi è un fascista.
E, se non è orgoglioso di esserlo perchè ritiene l'orgoglio una forma d'idiozia, di certo non se ne dispiace; per lui essere fascista è una necessità fisiologica...
Non c'è libertà: c'è liberazione.
Non c'è eguaglianza: ci sono vette e valli, aquile e scarafaggi, iddii e bestie.
Non c'è fratellanza: c'è il baratro del sangue e dello spirito, ineffabile.
Infine non c'è altro che se stessi: e basta.

Xela disprezza l'universale per conto della unicità.
Xela onora chi, sferzato dalla tormenta, avanza; chi, nel silenzio gelido della solitudine, coltiva la propria forza.
Xela se ne fotte, di tutto e di tutti.
E a coloro che in lui vedono un folle, rivolge un sorriso gentile: vadano pure a giuocare o a fare un sonnellino, se vogliono.



Ma alla fine poco importa cosa sia o cosa voglia Xela.
Che raggiunga le vette dei titani o ristagni nelle paludi dello Stige, solo egli lo stabilirà.

lunedì 11 giugno 2012

il ciandala

Ciò che ancora Pater Clousetti non ha imparato dalla vità, è vivere con pienezza.
Il suo cervello mesce in continuazione sensi di colpa e angoscia, insicurezza e delusioni.
Un ciandala, un vero ciandala.
La cosa più ridicola è che egli si ritiene un aristocratico.
Ma, per disgrazia, egli non eccelle in nulla; anzi è uno specialista del fallimento e della mortificazione.
Se fosse nato nell'antica Roma, lo avrebbero dato in pasto ai mastini, nell'ilarità generale.
Dinanzi alla sua ostentazione, i Cesari lo avrebbero senz'altro fustigato a sangue,
monito vivente per gli schiavi ribaldi.
Diversamente, forse, avrebbe fatto carriera presso l'infame stirpe dei giudii, come rabbino
o profeta del malaugurio.
Purtroppo i suoi istinti sono plebei.
Il suo sangue infetto.
Le sue midolla marce.
Il fatto che si aggiri con una creatura dell'abisso come Qu.bell, è greve indizio
di una predisposizione all'orrido, di una avanzata corruzione spirituale.
Lungi dall'essere -al pari del padre- un teurgo, un semidio splendente ed uranico, un dominatore del caos, un vincitore su forze e spiriti inferi, egli è un vinto, un soggiogato, come dimostra
la sua soggezione e inanità dinanzi ad arpie come la zucchetti, dana e sopratutto Barina, ormai
priva di senno.

Non affondare.
Diventa un dio.
Trova la via.

Io sono nessuno.
Per questo posso essere ciò che voglio.