venerdì 2 luglio 2010

l'univers c'est moi

La rinuncia è liberazione. Non volere è potere.
Cos'altro mi può dare il mondo che la mia anima non mi abbia già dato?
E, se la mia anima non me lo può offrire, come potrà offrirmelo il mondo, se è con la mia anima che mi accosto ad esso?
Potrei andare a cercare la ricchezza in Oriente, ma non la ricchezza dell'anima, perchè la ricchezza della mia anima sono io, ed io sono questo, così come sono, con o senza Oriente.
Viaggia chi è incapace di sentire, il cielo interiore non muta con le latitudini.
Siamo tutti miopi, sopratutto verso noi stessi.
In fondo, nella nostra esperienza della terra vi sono solo due cose: l'universale e il particolare.
Descrivere l'universale significa descrivere ciò che è comune ad ogni anima umana e a tutta l'esperienza umana - il cielo vasto, con il giorno e la notte che in esso e da esso si succedono; i mari, le montagne con la loro tremula estensione, che custodiscono la maestosità dell'altezza nel segreto della profondità; i campi, le stagioni, le case , i volti, i gesti; l'abito e i sorrisi; l'amore e le guerre; i sentimenti, finiti e infiniti...
Nel descrivere l'universale tutti mi comprendono, l'idioma primitivo e adamitico funziona.
Ma quale linguaggio frammentario e babelico dovrei parlare (e parlo, col rischio di passare per un demente) allorchè dovessi descrivere il particolare, ad esempio l'ascensore del Tribunale di Velletri o i pantaloni di Peppino o il dialetto bestiale dei Genzanesi?
Queste cose sono accidenti superficiali; si possono sentire e descrivere con l'informe, non con l'universale.
Quello che nel laido ascensore del Tribunale di Velletri è universale è la meccanica che facilita il mondo.
Quello che nei pantaloni macchiati di Peppino è eterno è il gioco colorato degli abiti, linguaggio umano che crea finzione sociale che a suo modo è una nuova nudità...
Quello che nella pronuncia locale è universale è il timbro bestiale di persone che vivono in un ibrido mostruoso di neo-modernità e residui rurali...la diversità di tutti gli esseri, la successione variegata dei modi...
Eterni viandanti di noi stessi, non esiste altro paesaggio se non quello che siamo.
Non possediamo nulla, perchè non possediamo neppure noi stessi.
Non abbiamo niente perchè non siamo niente.
Verso quale universo potrei tendere la mano?
L'universo non è mio: sono io.