domenica 30 ottobre 2011

elle

Nora Santucci è un donna contemporanea, di mezza età.
Come la gran parte delle donne contemporanee, Nora vive una vita ordinaria e conforme ai dettami della sua epoca: consumismo, edonismo, adesione formale ai canoni del credo cattolico, simultanea simpatia verso credenze alternative "new age", apertura ideologica verso l'esoterismo orientale,
compulsività isterica verso ogni nuova moda spirituale, fiducia cieca nella psicoterapia, uso moderato di stupefacenti, finto libertinismo sessuale, saffismo: insomma, in una battuta, di tutto di più.
In realtà Nora vive un vuoto interiore spaventoso, lacerante: vuoto che cerca di colmare con tutte queste stronzate, che assume come adempimenti coatti: e che tuttavia, uno dopo l'altro, falliscono e si dissolvono lasciandole un vuoto più esteso e una delusione ancora più atroce e insopportabile.
Non bastano i viaggi in India e in Tibet per convertire Nora a qualcosa, magari a una definitiva forma di ascetismo: la puzza di merda, i santoni pidocchiosi e luridi con lo scroto arrotolato, i monaci zen con i denti gialli e il sorriso viscido la disgustano parimenti dell'odiato Occidente...
Delusa da tutto Nora decide di ammazzarsi: se ne va in un bosco portandosi alcol e medicinali psicotropi.
Inghiotte tutte le pillole con l'alcol e dopo un pò precipita in uno stato di abbandono totale...
Sdraiata sull'erba, la testa le gira vorticosamente: sopra di sè vede il cielo, un cielo grigio con nuvole grigie che mutano forma lentamente ma inesorabilmente...il cielo la guarda senza occhi, indifferente...
Poi, ad un certo punto, stordita, il cielo viene sostituito da una figura umana maschile dalle forme rozze...è un pastore con mani enormi, dita nodose e tozze, sopracciglia ispide e nere, barba bluastra, capelli scuri e crespi, occhi neri e ardenti come un dannato dell'inferno...indossa una camicia a scacchi ed emana un leggero fetore di caciotta ed escrementi di pecora...
Nora fissa impotente e in silenzio lo svolgersi di un rito, forse il più antico e barbarico:
il bruto, con la bava alla bocca, si cala i calzoni ed esibisce un cazzo mostruoso, nero come la pece...poi le strappa i vestiti di dosso e come un animale impazzito si avventa sul suo corpo immobile...le azzanna i seni, piccoli come chicchi di grano e poi con un impeto bestiale la infilza...
Nora è serena, calma: assiste a ciò che sta accadendo al suo corpo come se fosse all'infuori di esso...
I colpi del bruto la scuotono come un fuscello: d'un tratto sente un'esplosione di piacere inaudito,
pulsazioni infuocate le sciolgono l'anima e le viscere... gode, finalmente gode come mai ha goduto in tutta la sua infima vita...
Il mostro grugnisce, esce dal ventre di Nora e si allontana, scomparendo.
L'odore del seme, acre come l'aceto, si mischia a quello della rugiada e del trifoglio.
Il silenzio del bosco scende di nuovo.
Il cielo, solenne e immoto, indifferente e grigio, torna a coprire tutto.
Nora è riconoscente.
Chiude gli occhi e si addormenta. Per sempre.

giovedì 27 ottobre 2011

la iena

Le città invisibili di Italo Calvino si concludono con questa frase:
"L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui,
l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.
Due modi ci sono per non soffrirne.
Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.
Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui:
cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio."
Ebbene, questi due modi di mettersi in rapporto con l'inferno, non prevedono il caso di Valentino Paterbaldi.
Egli non appartiene certo alla maggioranza per così dire silenziosa (in realtà essa parla il linguaggio dei motori, dei telefonini e delle televisioni) che accetta l'inferno, ne fa parte e non lo riconosce più;
ma non appartiene però neanche all'élite fortunata che cerca nell'inferno qualcosa che non è inferno.
Anzi: Paterbaldi sa, prima di ogni altra cosa, che da sempre e per sempre non c'è altro che l'inferno.
Non si propone neanche nel modo più vago e generico (come Calvino) l'ipotesi che ci sia qualcosa al di fuori di esso.
Non si sogna neanche lontanamente che ci possa essere un modo, anche illusorio, di non soffrirne o almeno di ignorarlo.
E allora, cos'è che distingue Valentino Paterbaldi dalla maggioranza silenziosa?
E' chiaro, benchè terribile: egli accetta l'inferno, come la maggioranza silenziosa, ma al contrario
della maggioranza silenziosa non ne fa parte, e perciò lo riconosce.
Ecco delineata una condizione di "estraneamento"...
L'accettare un fatto per pura e semplice obiettività, e il non farne parte pur riconoscendolo,
costringe Valentino Paterbaldi ad avere con questo fatto un rapporto tragico di estraneità:
e che tuttavia, forse a causa di un inconsapevole istinto di sopravvivenza, riesce a tramutare in una, seppur provvisoria, soluzione irrisoria...
Quando la tragicità è ridotta ad essere così completamente priva di illusioni, non può che trasformarsi in comicità.
Visitatore-dannato dell'inferno, Valentino Paterbaldi, bruciandosi nel fuoco o dibattendosi nella pece bollente, osserva gli altri dannati: e, pur soffrendo in modo selvaggio, in questo suo osservarli li trova ridicoli.
Il suo ridente sguardo cadaverico si posa sopratutto sui dannati in qualche modo simili a lui,
appartenenti alla sua cerchia, alla sua specializzazione.
La loro irresistibile comicità di dannati non spinge però Paterbaldi nè a deriderli troppo nè ad avere qualche pietà.
Descrivendoli, egli concretizza semplicemente la propria condizione di "estraneità" :
la concretizza in una forma di distacco linguistico che è quasi filologico:
e decisamente filologico lo è nella sua veste di "finzione narrativa"...
Ma è ora di spiegare in parole povere di che si tratta.
Valentino Paterbaldi ha finto d'essere uno scrittore, armato di una erudizione spaventevole, capace di tutto e, nel tempo stesso, capace di semplificare tutto.
Decide di comporre una raccolta di scritti surreali, bizzarri, arrivando addirittura a inventare teorie, sistemi filosofici e teologici ancora più assurdi...il tutto con uno stile impersonale, neutro, da enciclopedista, in modo da risultare convincente, quasi scientifico...oppure, all'opposto, utilizzando toni perentori, indiscutibili, assolutistici, come volesse vendicarsi di qualcuno...
Questo procedere secernendo surrealismo con uno stile descrittorio-formalistico, enciclopedico
(alla Fourier per intenderci), gli provoca convulsioni che lo piegano in due dal ridere, mentre dagli occhi gli sgorgano copiose lacrime d'ilarità...
La composizione dogmatica, patetica, gli serve per riprendere fiato.
Ecco un motto di questo squilibrato:
"Anche la liberazione asservisce"

Valentino Paterbaldi non portò mai a compimento la sua opera.
Forse fu punito da un dio per aver troppo deriso il prossimo.
Morì di crepacuore, mentre sghignazzava come un pazzo.

lunedì 24 ottobre 2011

la zucchina

Zizina Zuzetti è una zitella.
Sui quaranta, corpo sifilitico, seno piatto, alta un metro e mezzo, volto da strega.
Origini meridionali.
Culturalmente la sua istruzione rasenta lo zero: uno spaventoso zero avvolto nella "fuffa" però:
la lunga lingua eiacula infatti tante di quelle vanterie da arrivare in cielo...
La tragedia di questa zitella moderna è il suo rigore morale
(che nella prassi si traduce in una nevrosi):
rigore morale che, mischiato ad una dinamicità e ad un eclettismo forsennato,
la rende una creatura contorta, ibrida, che suscita allo stesso tempo
un senso di ridicolezza e pietà...
Si occupa di tutto, non perde un colpo, non le sfugge un evento mondano, è alla moda...
Con il prossimo ostenta presunzione; nel lavoro non ammette errori, lapsus od omissioni...
Dice di fare l'avvocato ma in realtà non è nemmeno laureata e lavora come impiegata in una nota azienda telefonica.
Comunque sia, nessuno immagina che la severissima e disciplinata Zizina Zuzetti
quasi ogni notte si trasforma in una ardente tribade che, sotto le coperte del letto,
si titilla e trafigge con banane, cetrioli, zucchine e cazzi di gomma lunghi mezzo metro acquistati
segretamente per corrispondenza...
La disgrazia della Zuzetti è che riesce a godere solo con "falli" vegetali o di gomma:
i falli veri, quelli di carne, dei maschi, rimangono per lei un'enigma...
Ella infatti non riesce a farne "addrizzare" uno...
Appena li tocca essi appassiscono come fiori morti.
I maschi, imbarazzati, si scusano, si riabbottonano i calzoni e se ne tornano a casa senza chiamarla più.
Con il passare degli anni non riesce nemmeno a trovare un disgraziato disposto a fare del sesso.
Non le resta che godere con oggetti inanimati.

Così, tristemente, fra banane e zucchine, passano gli anni.
Un giorno le bussa alla porta di casa un giovane, bello e aitante.
Fa l'idraulico e si chiama Roberto.
Lei è molto vecchia, è diventata una zitella rugosa.
Il suo desiderio, nonostante l'età, è di essere posseduta da quel giovane stallone:
ma naturalmente non ha il coraggio di dirglielo.
Roberto è un uomo spiritoso, virile:
ma naturalmente non andrebbe a letto con una vecchia;
terminato il lavoro si congeda e se ne va.
Zizina chiude gli occhi e posa le membra flaccide sul letto.
Chiede a Dio un ultimo desiderio prima di morire in solitudine:
chiede il corpo d'un giovane...un giovane dal cazzo duro, caldo, come quello di Roberto...
Ma purtroppo Dio non risponde.
"E se chiedessi al Diavolo? Forse che egli mi asseconderebbe?
Ma cosa dargli in cambio? Ma certo! La mia dignità, il mio stupido orgoglio,
di cui fin'ora e così a lungo sono stata scioccamente prigioniera!"
A quel punto Zizina ode bussare alla porta.
E' Roberto.
Dice di aver dimenticato un attrezzo.
La vecchia si inginocchia.
Davanti ha un idolo da adorare in un modo nuovo.

giovedì 20 ottobre 2011

il convertito

Vi racconterò la storia di una una conversione.
Il protagonosta è Elio, importante notabile di Roma affermatosi per le sue indiscusse capacità professionali nonostante la giovane età (non ha nemmeno quarant'anni).
Le origini di Elio sono prestigiose: gli avi del padre furono importanti notai e magistrati;
quelli della madre, invece, furono ricchi latifondisti del meridione.
Elio, inoltre, è anche un uomo colto, un intellettuale: di destra naturalmente.
Essere di destra, in due parole, significa una cosa sola: ritenersi superiori.
Tale superiorità -o meglio, tale presunzione di superiorità- è sempre di un tipo solo:
spirituale.
Su tale presupposto, sullo Spirito cioè, si basa una condotta, una morale, un'estetica
-in una parola una cultura- che, con una fatalità assoluta, distingue e divide nettamente
gli uomini in due categorie: gli inferiori, nati per servire e obbedire, e i Signori, destinati al comando e all'imperio...

Elio, naturalmente, sapeva tutto ciò, anzi, lo sentiva: sentiva cioè di appartenere alla stirpe dei Signori.
Tuttavia sapeva anche, con estremo sgomento, di vivere nel Kali Yuga:
turpe età in cui l'anarchia e la forza bruta avrebbero prevalso e in cui le orde degli schiavi si sarebbero sollevate contro tutti i Signori cancellando per sempre dal mondo ogni principio di superiorità spirituale...
Così Elio viveva una vita di "facciata", anonima, riservata, ineccepibilmente civile; ma covando segretamente un odio assoluto verso tutte quelle "infezioni" moderne che nel suo paese,
l'Italia, andavano diffondendosi o già da tempo si erano affermate: il diritto di voto a tutti,
la democrazia, l'integrazione culturale e razziale degli stranieri, nord africani, cinesi, zingari...
In particolare egli provava un gaudio interiore che rasentava l'orgasmo sessuale
- e che tuttavia naturalmente celava con una superba ipocrisia borghese-
quando dalla cronaca locale o nazionale apprendeva che quegli esseri spregevoli e inferiori
(nordafricani) perivano a centinaia o decine affogando nelle loro barchette disgraziate, tentando un esodo via mare verso le coste italiane, fuggendo dai loro paesi incivili e sottosviluppati...
Alla notizia, poi, o al solo pensiero, che in quelle traversate perivano affogate tra i flutti giovani donne incinte i cui grembi contenevano feti di sette, otto mesi, Elio era colto da un'eccitazione irrefrenabile,
che lo costrigeva a sbottonarsi i calzoni, impugnare il membro e masturbarsi furiosamente...
La medesima gioia convulsa lo coglieva quando apprendeva il verificarsi di una tragedia
(per esempio bimbi arsi vivi in un campo nomadi a causa di un incidente).

Un giorno Elio si reca in Venezuela per una vacanza.
Durante un banale spostamento aereo con un piccolo velivolo, il pilota viene colto da un ictus:
ma con un ultimo slancio vitale, e poi spirando, riesce miracolosamente ad atterrare su un atollo sperduto nel Mar delle Antille.
Elio, lievemente escoriato e incredulo d'essere ancora vivo, si accorge che un altro passeggero è sopravvissuto...
Si tratta di una donna: ma in essa si annida qualcosa di ambiguo, enigmatico.
La "donna" respira, ma è svenuta.
La bellezza di quelle forme è eccessiva, indecente, oscena...
Il corpo di quella "donna", attrae fatalmente Elio:
il seno è gonfio, duro; il culo è generoso, sodo; le labbra turgide; i fianchi molli e sensuali...
Elio non capisce...deve scoprire la verità.
E così spoglia la "donna" ancora priva di sensi...
Indossa un "tanga".
Elio deglutisce.
Un piccolo pene scuro, piccolo come una lumaca, e uno scroto minuscolo come olive,
ornano un pube depilato, con grazia.
Elio è avvinto da un sentimento nuovo: la vista di quei genitali suscita in lui una tenerezza senza fine...
Così egli capisce.
Se si fosse schiantato non avrebbe mai capito.
Intanto la donna con i genitali divini riprende conoscenza: lo guarda, con stupore,
e sospira in una lingua straniera.
Elio si china, le accarezza delicatamente il capo e le bacia la fronte.
Ha gli occhi umidi, gravidi di lacrime.
"Ti amo" le dice.

martedì 18 ottobre 2011

una storiella

Vi racconterò una storiella.
Provate a immaginare un uomo devoto: i cui precetti di vita si ispirano ad un sentimento
e a una devozione sinceramente radicati nel suo cuore.
Un santo, per farla breve: qualcuno cioè che agisce con disinteresse verso il
proprio egoismo ed è pronto a sacrificare ogni bene e la vita
pur di conservare i valori in cui crede.
Poco conta conoscere quale sia nello specifico il credo -religioso o politico- di quest'uomo:
vi basti sapere che ne ha uno e che per esso si immolerebbe senza esitazione.
Chiameremo quest'uomo, per civetteria, Fabux.
Fabux ha quarant'anni, vive in una grande città, non è colto,
ha un impiego fisso e noioso, non ha amici perchè tutti -sopratutto le donne-
lo trovano "poco brillante e per nulla sexy" e, cosa peggiore, "privo di personalità
e senza carattere".
Fabux non è diventato prete perchè gli piace molto masturbarsi:
la sua vigile coscienza laica gli impedirebbe di conciliare l'eucarestia con le pippe.
Fabux eiacula solo con pippe, si badi: non acconsentirebbe mai a coiti
a pagamento con donnine, perchè in contrasto con la sua moralità.
Fabux, sebbene senza amici, è un cittadino molto attivo: frequenta convegni femministi,
va a teatro, vede films, non perde una manifestazione politica (di sinistra):
senza capire nulla di teatro, cinema, politica, femminismo, etc.
Ciò si addice perfettamente alla sua vocazione da santo "laico":
infatti, per lui, l'importante è credere in tutte queste moderne virtù laiche (civiche):
libertà, democrazia, diritti, etc.: senza interrogarsi mai sul perchè di una tale scelta
ideologica.
Non si è mai chiesto, ad esempio, perchè egli non ha scelto di essere
un reazionario, un monarchico o un fascista: perchè, invece di credere nelle moderne virtù democratiche, al contrario non le nega e combatte con la stessa onestà spirituale e fervore
ideologico...
Il santo non domanda, non chiede: obbedisce ai precetti del suo dio e basta.
Se osasse disobbedire, perderebbe la santità: e diventerebbe un peccatore qualsiasi.

Bene.
A questo punto la storiella potrebbe terminare qui:
Fabux, il sanfedista moderno, potrebbe morire serenamente, a ottant'anni o più, con la Costituzione della Repubblica Italiana -mai interamente letta- stretta sul petto,
una vita onesta, proba e casta alle spalle (tasse pagate fino all'ultimo centesimo;
solo pippe, all'ombra della società -e quindi politicamente e sociologicamente neutre-
fino all'ultima eiaculazione).
Ascensione in cielo di Fabux (il Padreterno gli concede finalmente una donna, magari "bruttina" come la vuole lui, di nome Marta...Letizia eterna, celestiale, dei due.)
Invece, essendo questo finale troppo "ovvio", ve ne propongo uno diverso.
Dopo molti anni Fabux è colto da una "crisi" interiore, esistenziale.
Ha la sensazione sconcertante che gli ideali e i doveri in cui ha sempre creduto siano un bluff,
un'esilerante pagliacciata da circo...
Tuttavia egli sente ancora il bisogno di credere in qualcosa e di erigerlo a fondamento di fede: ma non sa cosa!
Chiaramente c'è sotto lo zampino del Diavolo.
Così quest'ultimo decide di tentarlo, sotto forma di prostituta nigeriana.
Fabux, in trance, allunga la mano e tocca, per la prima volta nella sua vita, un seno morbido...comincia a succhiarlo, palparlo...gli sembra un sogno.
"Allora" -dice il Diavolo sotto forma di prostituta nigeriana-
"Se vuoi questo seno, o qualsiasi altro seno, dovrai rinnegare i tuoi ideali: che già da tempo
hai messo in discussione. Perderai l'anima e la santità. Ma, credimi, non sarà una perdita dolorosa.
In alternativa salverai la tua anima: ma non i tuoi ideali. Vivrai nella delusione, nel ricordo
di qualcosa di fatuo e insignificante. E non rivedrai mai più questo seno, nè alcun altro per il resto della vita. Scegli."
Visto che Fabux non smetteva di libare, il Diavolo ne dedusse le conseguenze.
Fu così che il Santo perdette l'anima.
E perdendo l'anima conobbe una gioia perfetta e sconosciuta.

domenica 16 ottobre 2011

pulcinella

Ci sono persone che non credono in niente fin dalla nascita.
Ciò non toglie che tali persone agiscano, producano e facciano qualcosa della loro vita.
Altri invece hanno il vizio di credere:
i doveri si concretizzano davanti ai loro occhi in ideali da realizzare.
Se un bel giorno costoro non credono più
-magari piano piano, attraverso una serie successiva di disillusioni-
ecco che riscoprono quel "nulla" che per altri è stato sempre, invece, così naturale.
La scoperta del "nulla" disvela una potente comicità logica:
implica cioè non solo il proseguire dell'azione, dell'intervento, dell'operosità
-intesi ora non più come Doveri ma come atti gratuiti-
ma anche la sensazione esilerante che tutto ciò non sia che un gioco...

Finalmente si potrebbe erigere la propria Malafede a valore supremo...
per mancanza di valori supremi !!!
Nessuna ascesi, nessun ritiro dal mondo (miserabile soluzione senza fantasia).
Anzi: partecipazione mondana più fitta, interesse per tutto, pragmatismo:
sempre sotto forma di parodia, sempre con la coscienza sporca:
cose appunto quanto mai esileranti...
Identificare il mondo sociale col nulla e godere di ciò, essere rivitalizzati da questo;
umorismo critico dinanzi a cui non c'è valore o argomento che possa resistere
e al contempo assoluta malafede e ipocrisia nel propugnare e attuare tali valori...
Lo stato d'animo di chi vive questa esperienza del mondo è l'irrisione.
Così, dunque, nel momento in cui è irrisa, l'intera realtà è riaccettata dall'uomo.
La contraffazione, la parodia, la malafede:
è grazie a tali strumenti che il "nulla" in cui la realtà consiste ci piace...

Ora sapete già che tutto ciò è immorale.
Nessuno tollera l'ipocrisia e la disonestà.
Tuttavia "nessuno" è solo una pallida maschera che si indossa per autocompiacenza.
Sapete infine che chi irride deve innanzitutto irridere se stesso.
Tuttavia la voglia di "Pulcinella" è grande.
Bisogna trarne le conseguenze.

giovedì 13 ottobre 2011

il calice

L'urina può essere di diversi sapori: salata, amara, aspra, persino tendente al dolce.
Ora non dovete storcere la bocca, perchè con l'urina, magari la vostra, si possono
creare diverse ricette alquanto deliziose.
Un buon risottino ad esempio: invece di usare quella porcheria del glutammato
-il dado per intenderci-, peraltro dannoso alla salute dei neuroni e del fegato,
potrete preparare un brodino "biologico" per il vostro eccezionale risotto.
In due litri d'acqua bollente gettate un pezzo di manzo magro da due etti,
una o due cipolle, una bella carota, un pomodoro sbucciato, un ciuffo di prezzemolo,
un gambo di sedano e due bicchieri di pipì calda...non salate mi raccomando.
Nel mentre fate soffriggere due cipolle bianche in olio extravergine d'oliva
e non appena s'indorano innaffatele con un bicchiere di vino bianco e un dito di pipì calda.
Versate il riso, aggiungete il brodo ogni cinque minuti, mescolate a fuoco alto, etc. etc.
Per concludere potrete aggiungere una bustina di zafferano sciolta in un mestolo di brodo.
Versate infine due etti di parmigiano, mescolate bene e servite.
Da bere consiglierei un Muller Thurgau ghiacciato, cantina Mezza Corona.
I vostri amabili amici borghesi -o sottoproletari imborghesiti- impazziranno
e vi colmeranno di elogi: non immaginando che uno dei segreti di quel capolavoro culinario
è il vostro piscio.
Brindate e ridete, alzatevi e mentre i vostri amici s'ingozzano come suini, declamate ad alta e solenne voce gli immortali versi di Dante, Cicerone e Virgilio.
Se sono presenti donne giovani e belle, non accompagnate da cornuti, inginocchiatevi ad esse
e baciatele i piedi con la più assoluta umiltà.
"Mangiate" -disse XXX- "Questo è il mio pene."
"Bevete. Questa è la mia urina".
"Godete. Questo è il mio seme".

La fine del mondo può attendere altri due calici di...

mercoledì 12 ottobre 2011

la cappella

Diamo il benvenuto ad A.X., novizia di questa landa scabrosa.
Il suo interesse mi pervade di un'eccitazione che rasenta la gioia,
come accade a quei timidi sconosciuti sui quali per ventura si posa l'attenzione
di un occhio estraneo.
Essi, completamente inani e impagliati nella loro timidezza, non sanno reagire: e per loro l'attenzione ricevuta è vivificante; anche quando il giudizio dell'occhio alieno si traduce in una condanna morale o estetica...perchè tutto è meglio dell'indifferenza.
L'inconfessato desiderio dello sconosciuto è di essere notato, conosciuto, amato;
persino odiato e calunniato; ma mai trascurato.
Ecco perchè crediamo ai fantasmi: perchè non vogliamo essere cancellati;
perchè la nostra brama di notorietà deve vendicarsi della dimenticanza altrui perseguitandone
la coscienza...
L'indifferenza è la vera morte.

Ma come al solito sto divagando.
Torniamo a te cara A.X.
La risposta alla tua domanda è: Si, anche!
Xela e Baldo seguono le Vie che il Destino Lubrico ha loro assegnato.
Il loro ossequio verso il Piacere è mistico, come quello dei Templari verso il Graal.
E tanto basti.
Tu invece cosa fai?
Godi, grazie a Dio?
O appartieni anche tu al tristo girone dei Castrati per volontà propria (a.r., peppino, fabio, etc.)?
Siamo curiosi.

Sappi che qui si spazza via tutto;
allo stesso tempo l'indulgenza è suprema.
Le cose, qui, si assolvono da sè:
ma solo attraverso il supplizio (letterario ovviamente).
Il vento ha l'ultima parola.

E così, con sincero sgomento, ho scoperto l'amara verità:
anche tu appartieni al tetro Girone degli Accidiosi Autocastrati, esseri abietti e pregni di odio.
Clouseau è un uomo nobile, onesto e generoso.
Egli sa cosa è una Donna: ne sa cogliere i petali, perchè è un uomo delicato.
Egli sa cosa è il Piacere.
Il tuo corpo invece, mia povera A.X., non lo saprà mai.

giovedì 6 ottobre 2011

scaracchi (storia di un ladro)

E così eccoci a cento.
Adesso potrei raccogliere i "migliori" tra questi cento scaracchi
-per lo più saccheggi letterari e nient'altro- e pubblicarli in un libello intitolato appunto "Scaracchi";
o magari "Scaracchi letterari" (suona meglio).
Ma solo due o tre baccalà, degni d'infinito affetto, potrebbero credere che le mie "produzioni"
siano degne di rientrare, a qualsiasi titolo -anche il più spregevole- nell'ambito generale della "Letteratura"...
Il fatto ad esempio che chiunque oggi scriva "libri", o meglio
"escrementi letterari", questo fatto, per me, non costituisce "Letteratura".
La mia "produzione", signore e signori, è uno scarto tirato a lucido;
qualcosa di riciclato, un surrogato, forse saltuariamente pregevole...
Uno scaracchio appunto: qualcosa che brilla di luce riflessa.
Ora, mi si obietterà, nella Letteratura ciò che conta è la forma, la costruzione sintattica, il suono,
l'uso sempre "nuovo" delle parole: non tanto il contenuto, l'idea, la trama, etc.
Verissimo: ma per me tutto ciò non è sufficiente.
Le parole hanno un valore solo se la loro combinazione risulta esplosiva, letale, come una formula chimica o un orgasmo: altrimenti sono sterili, come la maggior parte dei nostri discorsi.
Le parole devono squartare, tirarvi fuori le budella, farvi rinascere, convertirvi:
e non c'entra nè la retorica, nè la verità (concetto futile) nè l'utilità (relativa).
C'entrate voi, in un disegno oscuro che vi trascende: siete così labili che basta un virus, un
gesto o una parola effimera per modificare i vostri flebili destini...
Siete in balia del vento, di un vento musicato che non saprete mai dove vi condurrà...
Questo -soltanto questo- è il bello!
Io, misero ladro di parole altrui, mi limito a mischiare le carte e a barare costantemente.
O per sempre, se lo vorrete..

la dea

Gli appuntamenti possono essere fatali.
Sopratutto gli appuntamenti con Clouseau.
C'è sempre qualcosa che impedisce a Clouseau di essere puntuale.
I suoi ritardi si basano pressochè su prolungati lavaggi al bidet, ripensamenti dell'ultim'ora,
vendette personali e altre amenità, come gatti, tartarughe e sifoni guasti.
Nell'attesa in macchina ascolto canzoni alla radio e contemplo il mio cranio lucido e spelacchiato,
arso da una luce solare forte e indifferente alle tragedie umane.
Stanco di noia mi dirigo a casa di Clouseau.
Busso e mi apre una donna attraente e gentile, sulla cinquantina.
Snella, occhi d'un azzurro chiaro, lineamenti sottili e curvilinei, gambe magre e sode.
Vivace, come una bambina di otto anni.
Quelle gambe, deliziose ed eccitanti, preludono fantasie inconfessabili: così vado a confidarmi con Clouseau.
"Niente male la signora di sotto..."
"E' mia madre" risponde amabilmente Clouseau.

In un quarto d'ora questa adorabile creatura mi spalanca il suo mondo, palpitante e tumultuoso...
Ella è un'aristocratica, una poetessa, una tribade arsa da un'ansia di vivere all'infinito,
di godere perpetuamente...
Dopo cinque minuti che la conosco mi invita a giocare a ping-pong -alle dieci di mattina
di un giovedì feriale!-, con la nonchalance tipica dell' aristocratica, liberamente padrona
di dissipare il proprio tempo e la sua vita nel capriccio e nel gioco...
La casa di Clouseau è un tempio a Venere: vi regna solo la Bellezza, la Forma, l'Armonia...
Ogni centimetro è frutto di una ricercatezza sublime, votata al Bello, in senso classico...
Naturalmente, come ogni donna aristocratica, Ella è spudoratamente consapevole delle proprie origini, della propria cultura, della superiorità sociale a cui appartiene;
e sfoggia questa sua superiorità artistica e intellettuale con piglio e posa ghibellina.
Naturalmente, come ogni donna che si rispetti, Ella è anche frivola;
di una frivolezza innocente, per così dire, che appartiene necessariamente al suo ceto
e al suo stato di natura, cioè di gioconda.
Le sue poesie, di una malinconia sublime, anelano e tributano amori impuri, immorali, forse inconfessabili...
Ella è una Giulietta, pronta a tutto: al tripudio, all'efferatezza inconsulta e al sacrificio estremo...
Donne simili, per poter essere amate, richiedono uomini d'eccezione,
uomini votati ad una dedizione estrema,
uomini-padri che amano come padri indulgenti e non come mariti possessivi e gelosi,
uomini di rara saggezza che -pur di preservare sempre la felicità della creatura donata loro dalla
Provvidenza- sono disposti a tollerare tutto, compreso il libertinaggio della loro amata...
Donne simili, che più vetustano più ardono di vita, sono doni rarissimi,
frutti acerbi che non maturano mai, il cui nettare virgido inebria voglie immortali...
Donne simili sono Dee mortali.
Solo ad Esse è lecito immolarsi.