giovedì 6 ottobre 2011

scaracchi (storia di un ladro)

E così eccoci a cento.
Adesso potrei raccogliere i "migliori" tra questi cento scaracchi
-per lo più saccheggi letterari e nient'altro- e pubblicarli in un libello intitolato appunto "Scaracchi";
o magari "Scaracchi letterari" (suona meglio).
Ma solo due o tre baccalà, degni d'infinito affetto, potrebbero credere che le mie "produzioni"
siano degne di rientrare, a qualsiasi titolo -anche il più spregevole- nell'ambito generale della "Letteratura"...
Il fatto ad esempio che chiunque oggi scriva "libri", o meglio
"escrementi letterari", questo fatto, per me, non costituisce "Letteratura".
La mia "produzione", signore e signori, è uno scarto tirato a lucido;
qualcosa di riciclato, un surrogato, forse saltuariamente pregevole...
Uno scaracchio appunto: qualcosa che brilla di luce riflessa.
Ora, mi si obietterà, nella Letteratura ciò che conta è la forma, la costruzione sintattica, il suono,
l'uso sempre "nuovo" delle parole: non tanto il contenuto, l'idea, la trama, etc.
Verissimo: ma per me tutto ciò non è sufficiente.
Le parole hanno un valore solo se la loro combinazione risulta esplosiva, letale, come una formula chimica o un orgasmo: altrimenti sono sterili, come la maggior parte dei nostri discorsi.
Le parole devono squartare, tirarvi fuori le budella, farvi rinascere, convertirvi:
e non c'entra nè la retorica, nè la verità (concetto futile) nè l'utilità (relativa).
C'entrate voi, in un disegno oscuro che vi trascende: siete così labili che basta un virus, un
gesto o una parola effimera per modificare i vostri flebili destini...
Siete in balia del vento, di un vento musicato che non saprete mai dove vi condurrà...
Questo -soltanto questo- è il bello!
Io, misero ladro di parole altrui, mi limito a mischiare le carte e a barare costantemente.
O per sempre, se lo vorrete..