lunedì 14 giugno 2010

venus

Nel corso dei mesi ho avuto modo di conoscere meglio "l'animale da prateria", una sanguisuga di provincia ipocrita e superficiale a cui piace essere corteggiata da un "intellettuale" come me mentre si fa sbattere da ex calciatori, ballerini brasiliani e altra gente del suo livello.
Ma, se ho idealizzato questa donna mediocre, la colpa è solo mia: è un errore che troppo spesso mi sono concesso, è l'errore conosciuto come innamoramento.
Frequentando una persona i lineamenti della stessa diventano più chiari, se ne intravedono i pregi come i limiti e i difetti, e se la coscienza (al pari del grillo di Pinocchio) ci vorrebbe vigili e critici verso l'altro, nel caso di una donna, un'erezione camuffata da sentimento (cos'altro è l'amore in fondo?) mette a tacere ogni coscienza...
L'opinione comune vuole che questo inganno della coscienza sia inevitabile, che non si abbia altra scelta se non quella di sbattere la testa contro il muro dell'amore e che nemmeno l'esperienza possa servire a qualcosa in questa palude seducente ("al cuor non si comanda" si dice...).
Accanto a questa vulgata, sta la constatazione (anch'essa frutto dell'opinione comune) che se si smettesse di andar dietro all'amore (alla fica di una donna, aggiungo io) la vita diventerebbe arida, senza entusiasmo, una sorta di frigida attesa senza più senso.
Che ognuno faccia quel che vuole.
Per quel che mi riguarda andare dietro all'amore, al profumo delle gonnelle, è tempo perso: e sopratutto è tempo perso illudersi di trovare "l'amore" tra le cosce aperte delle donne (lì c'è solo piacere).
Le vulve sono solo succosi frutti da assaggiare quando il caso ce li schiude davanti, e non c'è una sola ragione per cui si debba amare di per sé colei che ce ne fa dono solo perchè ce ne fa dono (per godere lei stessa del resto)...sinallagma di piaceri, nient'altro.
L'amore dell'uomo verso la donna è sempre un'erezione camuffata da sentimento, un istinto mascherato volto all'eiaculazione.
L'amore è pertanto quella graziosa forma di riconoscenza verso colei che ci ha fatto godere col suo corpo, riconoscenza che arriva sino alla demenza del matrimonio, della gelosia, della fedeltà (esclusività) tra i sessi, etc.
Il desiderio è ramingo, come la nota Venus Vagabunda di Lucrezio...

Soares

Soares (pseudonimo di Pessoa) vive tutto a metà, non riesce nè ad amare completamente i propri sogni di evasione e desiderio nè a voltare per sempre le spalle alla quotidiana schiavitù della sua piccola e grigia esistenza di impiegato contabile in una sartoria.
Resta inerte, schiacciato dalla coscienza della sua impotenza a vivere pienamente, tanto nel desiderio quanto nel disgusto.
Vorrebbe esiliarsi dalla vita ma non ne è in grado: perciò decanta l'esilio, il sonno, il sogno, la morte...
Tutta la poesia del libro è un inno a questa mancata liberazione, a questa sconfitta della volontà che non fa altro che umiliare sé stessa per preservarsi meglio dall'oblio...
Si sarebbe tentati di definire Soares un romantico, ma i suoi sogni si sgretolano tutti in un attimo, sempre per colpa di una stanchezza atavica, i suoi desideri si sciolgono come cera, nascono troppo deboli per sopravvivere...
Un romantico fallito? No purtroppo (ma poi perchè mai purtroppo?) perchè Soares fallisce ancor prima di diventare un romantico, abortisce i suoi sogni e i suoi desideri ancor prima di ergerli a propri baluardi (come fa il romantico)...partorisce sogni solo per affogarli appena nati...
Un nichilista? Nemmeno, il nichilista spregia la vita e poi, se è veramente tale, toglie il disturbo, si congeda lanciandosi dal balcone o penzolando con un cappio al collo: non così Soares, il quale non spregia la vita in sé ma solo la sua...il mondo esterno gli è indifferente , quasi estraneo, l'unica realtà che conosce si svolge nel raggio di un chilometro: Rua dos Douradores, i lampioni, la finestra della stanza, l'ufficio, il cameriere della locanda, il titolare della sartoria, la pioggia , il vento, i registri, il Tago, la curva dei monti, i parchi pubblici, la Baixa, la spiaggia, l'ora del tè...queste sono le uniche cose che per lui hanno un senso.
Soares non è nichilista perchè è legato morbosamente alla sua esistenza di impiegato, fedele ad ogni sterile gesto del suo vivere quotidiano: disprezza sè stesso perchè è attaccato a tutte queste futili abitudini, a ogni infima particella di pulviscolo che galleggia nell'aria che respira...e non riuscendo a superare questa contraddizione, vive a metà, dolosamente...
Che cosa è allora Bernardo Soares?
E' la coscienza, inizialmente e apparentemente inquieta ma in fondo e alla fine acquietata, del fallimento.
E' il sentimento zoppicante che alla fine si ritrae come la schiuma del mare, è la bruma notturna che si schiude sull'apparire, è un adagiarsi senza più volere...

Ogni uomo ha inscritto nel suo destino il fallimento, figlio della caducità e della fragilità del suo essere.
Ma nessuno è così onesto da riconoscere questa semplice verità.
L'insulso orgoglio umano esige sempre la lotta, la competizione, l'opera, il risultato, la vittoria...per questo tutti si affannano a mascherare la loro essenza che li vuole effimeri come tutte le cose.
Soares va controcorrente. La sua abiura redime la viltà.
Soares è un'eroe perchè è un fallito. Perchè ha il coraggio di dirlo...

venerdì 11 giugno 2010

rondini

Da questa terrazza, da Poggi d'oro, si è tentati di ritenersi dei.
L'estate è la stagione in cui risorgono le energie, i veri ormoni sono i colori: Pissarro e Van Gogh probabilmente non erano solo uomini, erano nervi scoperti, sensibili alla impercettibile declinazione del rosa e dell'azzurro terso sovrastante campagne e uliveti.
Ogni anno risorge quest'esplosione di colori, si ha l'impressione che vivere non serva a nient'altro che a godere di essi; che non serva nient'altro all'infuori di un bosco, una campagna o un paesaggio con in fondo il mare. E' fantastico...
Tutto il misticismo dei saperi ctoni e delle culture cicliche riposava su questo incanto, sulla resurrezione della natura e dei suoi colori, per cui nulla andava perso in seno alla madre terra, e attraverso il gelo e la morte dell'inverno andava ricomponendosi la bellezza sempre vergine del mondo, culminante nella estate.
Il ciclo regolava le vite e dava forma ai fenomeni: in tal senso tutto torna e niente è perduto...

Guardando una formica pensiamo ad una specie, non ad un'essere distinto dai suoi simili, una specie sempre conforme e chiusa nella sua dimensione univoca e specifica: insomma per noi una formica vale l'altra.
Non così pensiamo a noi stessi: ogni uomo, a cominciare da ciascuno, pensa sé stesso e gli altri non come specie -univoca e dai componenti indistinti- ma come singolarità unica e differenziata, le cui "differenze" dall'altro o dagli altri costituirebbero addirittura il tratto peculiare dell'essere umano...
Operazione arbitraria? In fondo si. Dall'alto tutti gli uomini appaiono come formiche, perciò la loro asserita diversità è, per così dire, solo "affar loro", insignificante rispetto alla madre che incessantemente li genera e li sotterra.

L'uomo non è il fine del mondo, il figlio privilegiato della terra, nè ha un padre chiamato Dio che lo osserva e lo premia.
E' il frutto del caso ed è fratello della più minuscola formica.
Tra di essi c'è solo una differenza di forma, quantità e modalità: la sostanza è la stessa, materia mortale...

Le rondini attraversano il cielo senza chiedersi perché. Ogni perché è superfluo.
Solo colori radiosi e cinguettii.
L'incanto sembra interminabile.

martedì 8 giugno 2010

postruosità

Dorian Grey (ancora tu? ma non ti avevo pregato di accomodarti altrove? E per sempre possibilmente...) ingenuamente si scandalizza perché qui non è possibile lasciare commenti.
Visto le porcherie che scrive, lettere infami, scadenti, prive di alcun valore letterario, umano, intellettivo, era il minimo che potesse aspettarsi.
Lasceresti imbrattare il tuo diario dalla merda di un uccello? io no.

L'ennesima lunga, noiosa e sterile lettera di un fantasma...
Parole, parole, apologie: che nausea! Scrivi qualcosa di intelligente perdio!
Qualche panto-novelas (la mamma che piange, lui che corre all'ospedale con la patta ancora aperta), un materialismo inetto e becero (carbonare, buste di arance, alimentatori per computer scassati) per giustificare la sua mediocrità, concetti-sterco (ma è fargli un complimento attribuirgli concetti), specchi convessi che riflettono la sua stessa immagine morta, immagine di un Dorian Grey dei Landi.

Un cadavere imbellettato che "profuma" come tutti i morti imbalsamati (ma che a ben vedere puzza come tutti i morti).

Grazie per le cene senza invito (innaffiate con un decente vino altrui) umbratile fantasma, ma non sono sufficienti a "redimerti" dalla tua falsità (la tua seconda spina dorsale?)

L'ossessione quasi faraonica verso il suo corpo marcio e consumato da stupefacenti gli fa credere che non lo si possa che amare...povero illuso.

Ma di che sto parlando? Di un fantasma? Suvvia, non ho mai creduto ai fantasmi...e poi Dorian Grey è nessuno, lacerato il dipinto, distrutto lo specchio nemmeno i frammenti si ricorderanno più di lui.