venerdì 3 agosto 2012

solo

Per me non c'è più nulla.
Sono il nichilista perfetto.
Non credo più in nulla. Sono il perfetto scettico.
Non credo più in nulla : sono l'ateo compiuto, definitivo,
intero; l'ateo che non s'inginocchia neppure alle fedi
laiche, razionali, filosofiche e umanitarie che hanno
preso il posto delle fedi mitologiche antiche.

So che tutte le nostre costruzioni saranno distrutte;
che de' nostri incendi non resterà neppur la cenere;
che i nostri ideali, anche
raggiunti e dominati, precipiteranno nell'eterna oscurità
della dimenticanza e del finale non essere.

Nessuna, nessuna speranza ho nel cuore;
nessuna, nessuna promessa posso fare a me stesso e agli altri;
nessun compenso posso prevedere per i miei atti;
nessun resultato da' miei pensieri.
Il futuro, questo incantatore
di tutti gli uomini, questa causa perpetua di tutti
gli effetti, è per me nient 'altro che la nuda prospettiva
dell 'annullamento.
 
L'uomo solo, assolutamente solo, assolutamente
spogliato, che non chiede nulla, che non vuol nulla,
ch'è giunto ai vertice del disinteresse per troppa perspicuità
e non per cieca rinunzia, si rivolge al mondo
ch'è spoglio per lui come una prateria bruciata, come
una città devastata che non ha più chiese,
mète, asili e rifugi, e gli dice :
Per quanto tu non mi prometta nulla
sono ancora con te, mi unisco ancora alla tua forza,
lavoro col tuo lavoro, ti accompagno
e ti rifletto nel tuo cammino.

Finché l' uomo aspetta qualcosa dall'universo, è
un negoziante che va per ricevere, che scambia e
baratta, e si arrabbia se fallisce e si uccide se la
restituzione non avviene, se la cambiale non è pagata,
se l'incasso è minore della spesa.

Ma l' uomo che ha rinunziato a ogni compenso
e lavora per ciò che sarà disfatto sapendo che sarà disfatto,
è l'unico uomo degno, veramente degno
di abitare serenamente l'universo.
Egli solo é il nobile di fronte ai trafficanti che
lo circondano anche se costoro hanno scritto sulle insegne
delle loro botteghe i nomi più puri, più ideali e
metafisici.

Egli fa e non pretende che nessuno faccia per lui ;
dà sapendo che non riceverà mai ; aspira alle cime
sapendo che non le raggiungerà ; offre tutto sé stesso
e sa che nessuno lo pagherà al suo giusto prezzo.

Che coraggio c'è a vivere quando si crede fermamente
che i nostri ideali diventeranno realtà, che
un qualsiasi paradiso, terreno o celestiale che sia,
ci aspetta per ristorarci de' nostri travagli ?

Ma la vera nobiltà dell'uomo, il suo massimo eroismo consiste
nel saper viver anche quando tutte le ragioni di
vivere son distrutte in lui, quando le bende e le stampelle
che rendono possibile la vita di tutti sono state
buttate dapparte.
Per questa nobiltà, per questa grandezza, per questo
ultimo e disperato eroismo, sfuggo nello stesso tempo
alla morte e alla mediocrità.

(Giovanni Papini)

giovedì 2 agosto 2012

la certezza

Io non chiedo né pane, né gloria, né compassione.
Non domando abbracci alle donne o soldi ai banchieri
o elogi a' « geniali ». Di codeste cose fo a meno o le
guadagno o rubo da me.

Ma chiedo e domando, umilmente,
in ginocchio, con tutta la forza e la passione
dell'anima mia, un po' di certezza ; una sola, ma piccola
fede sicura, un atomo di verità ! Io vi prego e vi
scongiuro, per tutto quel che avete di più caro e di
più prezioso, per la vostra vita, per la vostra amata
di oggi, per la vostra idea preferita, di dirmi se c' è
tra voi chi abbia quel che cerco, se v' è qualcuno che
sia certo, che conosca, che sappia, che viva e si mova
nel vero.


Io non ho cercato che questo. Fin da bambino non
ho vissuto che per questo. Ho picchiato a tutte le porte,
ho interrogato tutti gli occhi, ho domandato a tutte
le bocche e ho scandagliato mille e diecimila cuori
invano. E invano mi son buttato nella vita fino al
punto di affogare e di vomitare, e invano, sempre invano,
mi son sciupato gli occhi sui libri vecchi e sugli
ultimi e mi son fatto rintronar la testa dall'urlare
de' filosofi rivali e invano, eternamente invano, ho provocato
gli echi interiori e ho preparato con umiltà le
vie della rivelazione. Ma niente, ma nulla è venuto
e nessuno ha risposto.

Nessuno ha risposto in modo da spengere ogni voglia
e bisogno di chiedere ancora ; niente è venuto
che abbia calmato il cuore troppo impaziente e abbia
saziata quest'anima mia, sitibonda come un deserto.
Tutti i tentativi e le prove e gli sforzi non sono stati
inutili : molte pareti son cadute, molti muri sono stati
atterrati e squarciati, alcuni pian piano, come rena
che si sfascia, altri con gran rumore, come se una nuova
terra scoppiasse fuor dell'antica. Ma dietro ogni parete
c'era il vuoto ; al di là d'ogni muro c'era il buio
e l'eco era talmente singolare che ad ogni sì di speranza
tornava indietro uno stanco no senza fine.

Nessuno potrà dire eh' io non abbia avuto coraggio.
Ricordo ancora le notti lunghe, serene, vegliate
all'aperto, coll' illusione dell' infinito nell'anima, sotto
quei cieli e quelle stelle che ti riempiono di santità e ti
puliscono il pensiero da' bestiali colori del giorno...

E mi son chinato sul vetro del microscopio : e cosa ho
visto ? Quel che vedo ogni giorno cogli occhi nudi :
piccoli esseri in un piccolo mondo che l'un l'altro
s' ingoiano.
Vennero anche gli uomini della fede e quelli incaricati
di serbare la fede. E tutti i loro discorsi non riuscirono
a mettere in me la fede ch'era nelle loro parole
e dove c'eran le parole non c'erano i fatti ; e dove
c'erano le parole il mio spirito maledetto scorgeva
gì' inganni, gli orgogli, le illusioni, le ignoranze, le fintaggini,
i comodi, i calcoli e tutto ciò che vuol fare
d' Iddio un servitore dell'uomo.

Neppur coi filosofi ebbi fortuna : i migliori eran
grammatici che a forza di affilare la falce facevan cader
secca in terra la messe prima di mieterla e gli altri
eran poeti fuori di strada, energumeni senza grazia
che disegnavano giorno e notte, per immaginarie città
celesti dove nessuno può vivere, lunghe alte e ricche
facciate senza stanze dietro.

E da nessuna parte nessuna verità. Una verità,
intendo, di quelle che fanno cader colla faccia in terra
come i fulgori divini e illuminano con luce inestinguibile
il fuori e il dentro : l'uomo e la sua immagine.
E da nessuna parte nessuna certezza.
Di ogni cosa ho
veduto il prò e il contro e il prò del contro e il contro
del prò ; tutte le idee eran diamanti e prismi, ed erme
quadrifronti e sfingi con mille risposte a dieci dimande.
Di nessuna cosa nessuno può dire : È cosi e non altrimenti.
A nessun problema si può rispondere in una
maniera sola e soltanto in quella maniera. Ogni uomo
che parla ha una sua ragione e chi parla contro di lui
ha pure la sua ed ha la sua anche colui che parla contro
il primo e il secondo e un possibile quarto. Volta
per volta ci tocca ad assentire : anche il pazzo ha i suoi
argomenti e bisogna ascoltarli con saggezza.

Scettico io ? No — disgraziatamente. Neppure scettico.
Lo scettico è fortunato : una fede gli rimane, la
fede nella impossibilità della certezza.
Egli può esser tranquillo e, se gli accomoda, dogmatico.
Ma io no. Io non credo neppure alla vanità di
ogni ricerca e non son certo neppure dell' inesistenza
della certezza. Fra le cose possibili v' è anche questa :
che la verità si trovi e che qualcuno la possegga.
Cosa vuol dire ch' io non l'abbia trovata e ch' io
non la possegga ?

Ma non parole, veh ! non inganni, non frottole,
non speranze da ragazzi o chiacchiere da donne.
Voglio una certezza certa — anche una sola ! —
voglio una fede indistruttibile — anche una sola. Voglio
una verità vera, anche piccola, anche meschina, —
una sola!
Ma una verità che mi faccia toccare la sostanza
più interna del mondo ; il sostegno ultimo, il
più solido ; una verità che s' impianti da sé nella testa
e non faccia più concepire ciò che a lei contraddice ;
una verità, insomma, che sia una conoscenza, una conoscenza
vera e propria, perfetta, definitiva, autentica,
indiscutibile.

Senza questa verità non riesco più a vivere e se
nessuno ha pietà di me, se nessuno può rispondermi,
cercherò nella morte la beatitudine della piena luce
o la quiete dell'eterno nulla.

(Giovanni Papini)

mercoledì 1 agosto 2012

il perduto

Dormo dieci ore filate, senza svegliarmi,
senza sognare. Mi sveglio colla testa pesa e la bocca
pastosa ; esco fuori per non far nulla ; ritorno a casa
per riposarmi ; mangio voracemente come un ragazzo
che si masturbi tutte le notti ; sorseggio una gran
tazza di caffè ; fumo cinque o dieci sigarette ; mi sdraio
in una poltrona e stendo le gambe su di un'altra ; leggo
un giornale da cima a fondo come un pensionato acciaccoso;
torno fuori per incontrare qualche scettico
conoscente col quale faccio un po' di scherma d' ironia
stupida e amara ; entro in un caffè, ingoio una tazza di
cioccolata farinosa, mangio con disgusto tre o quattro
pasticcini spalmati o rigonfi di sporche conserve di
frutta ; sfoglio un fascio di giornali spiegazzati e cenciosi,
e quasi quasi sorrido sbirciando le caricature
scioccamente colorite ; torno in istrada sotto la gran
luce teatrale delle palle elettriche ; inseguo una prostituta
imbiancata e incarminiata come se fosse il mio
primo amore ; entro in una libreria per comprare con
pochi soldi dei libri non tagliati che non leggerò mai ;
mi fermo dinanzi alle botteghe dei pizzicagnoli e contemplo
i formaggi untuosi e le scatole di sardine con
appetito ; vado in una casa dove mi danno il the e
ne bevo quattro tazze sperando che mi venga un po' di
talento ; o salgo in un bordello se ne ho voglia e anche
se non ne ho voglia — cosi, per uccidere i minuti e le
ore, per non ricordarmi di quello che dovrei fare e non
fo, per abbrutirmi, per avvilirmi, per ninnare il rimorso,
per smorzar la coscienza...

Ogni tanto, se non posso farne a meno,
scrivo una lettera o dieci lettere,
per non pensarci più, per sbarazzarmi di tutti, e qualche
sera, quando mi sento veramente troppo pieno e
inconsolabilmente malinconico, afferro la mia grossa
penna nera e scrivo giù quel che mi trabocca dall'anima;
riempio in furia dieci, venti, quaranta fogli bianchi
coi miei sfoghi, coi miei atti di contrizione, colle mie
raffinate e spiritose assurdità.

Ma cosa volete che venga fuori da un uomo che
vive tra il sonno e il caffè, tra la tavola e il letto, infingardo
e sonnacchioso, buono soltanto a suonar la diana
ma vigliacco in fuga il giorno della vera battaglia ?
E rizzandomi su dai tepidi lenzuoli o dalle sedie imbottite
strillo come un'aquila perchè lo spirito viene insultato
e disegno per i miei simili una vita solitaria,
austera, sdegnosa, nobile e michelangiolesca!
E non c'è da dir ch' io non senta l' infamia di questa
mia doppia vita. La sento e tanto più duramente
la sento tanto più, per addormentar la vergogna, mi ci
abbandono ed imbrago.
Trovo un po' di conforto nella
confessione, ma quando ho riflesso nello specchio delle
concitate parole la mia lurida immagine di traditor di
sé stesso, perchè tutti la veggano e ci sputino sopra,
mi credo perdonato e salvato, mi rialzo con aria di
trionfo, come se la sciagurata esibizione mi avesse
purificato e trasformato. E il giorno dopo ricomincio
come prima : vado a letto presto, dormo dieci ore
senza svegliarmi, senza sognare ; mi alzo con la testa
vuota e la bocca amara e vivo fino alla sera in quel
modo che ho confessato fremendo il giorno innanzi.
E torno, ahimè, quando non ne posso più, a rovesciar
convulsamente parole sui fogli e a cantare con versi
d' infinite sillabe la terribilità dell'ascetico eroe che vede
le cose umane con occhi divini e son talmente abietto
che neppure una volta mi vien l' idea di metter giù
dell'arsenico nel mio biondo the prodigalmente indolcito.

(Giovanni Papini)