mercoledì 1 agosto 2012

il perduto

Dormo dieci ore filate, senza svegliarmi,
senza sognare. Mi sveglio colla testa pesa e la bocca
pastosa ; esco fuori per non far nulla ; ritorno a casa
per riposarmi ; mangio voracemente come un ragazzo
che si masturbi tutte le notti ; sorseggio una gran
tazza di caffè ; fumo cinque o dieci sigarette ; mi sdraio
in una poltrona e stendo le gambe su di un'altra ; leggo
un giornale da cima a fondo come un pensionato acciaccoso;
torno fuori per incontrare qualche scettico
conoscente col quale faccio un po' di scherma d' ironia
stupida e amara ; entro in un caffè, ingoio una tazza di
cioccolata farinosa, mangio con disgusto tre o quattro
pasticcini spalmati o rigonfi di sporche conserve di
frutta ; sfoglio un fascio di giornali spiegazzati e cenciosi,
e quasi quasi sorrido sbirciando le caricature
scioccamente colorite ; torno in istrada sotto la gran
luce teatrale delle palle elettriche ; inseguo una prostituta
imbiancata e incarminiata come se fosse il mio
primo amore ; entro in una libreria per comprare con
pochi soldi dei libri non tagliati che non leggerò mai ;
mi fermo dinanzi alle botteghe dei pizzicagnoli e contemplo
i formaggi untuosi e le scatole di sardine con
appetito ; vado in una casa dove mi danno il the e
ne bevo quattro tazze sperando che mi venga un po' di
talento ; o salgo in un bordello se ne ho voglia e anche
se non ne ho voglia — cosi, per uccidere i minuti e le
ore, per non ricordarmi di quello che dovrei fare e non
fo, per abbrutirmi, per avvilirmi, per ninnare il rimorso,
per smorzar la coscienza...

Ogni tanto, se non posso farne a meno,
scrivo una lettera o dieci lettere,
per non pensarci più, per sbarazzarmi di tutti, e qualche
sera, quando mi sento veramente troppo pieno e
inconsolabilmente malinconico, afferro la mia grossa
penna nera e scrivo giù quel che mi trabocca dall'anima;
riempio in furia dieci, venti, quaranta fogli bianchi
coi miei sfoghi, coi miei atti di contrizione, colle mie
raffinate e spiritose assurdità.

Ma cosa volete che venga fuori da un uomo che
vive tra il sonno e il caffè, tra la tavola e il letto, infingardo
e sonnacchioso, buono soltanto a suonar la diana
ma vigliacco in fuga il giorno della vera battaglia ?
E rizzandomi su dai tepidi lenzuoli o dalle sedie imbottite
strillo come un'aquila perchè lo spirito viene insultato
e disegno per i miei simili una vita solitaria,
austera, sdegnosa, nobile e michelangiolesca!
E non c'è da dir ch' io non senta l' infamia di questa
mia doppia vita. La sento e tanto più duramente
la sento tanto più, per addormentar la vergogna, mi ci
abbandono ed imbrago.
Trovo un po' di conforto nella
confessione, ma quando ho riflesso nello specchio delle
concitate parole la mia lurida immagine di traditor di
sé stesso, perchè tutti la veggano e ci sputino sopra,
mi credo perdonato e salvato, mi rialzo con aria di
trionfo, come se la sciagurata esibizione mi avesse
purificato e trasformato. E il giorno dopo ricomincio
come prima : vado a letto presto, dormo dieci ore
senza svegliarmi, senza sognare ; mi alzo con la testa
vuota e la bocca amara e vivo fino alla sera in quel
modo che ho confessato fremendo il giorno innanzi.
E torno, ahimè, quando non ne posso più, a rovesciar
convulsamente parole sui fogli e a cantare con versi
d' infinite sillabe la terribilità dell'ascetico eroe che vede
le cose umane con occhi divini e son talmente abietto
che neppure una volta mi vien l' idea di metter giù
dell'arsenico nel mio biondo the prodigalmente indolcito.

(Giovanni Papini)