domenica 29 luglio 2012

la belva

Credevo sul serio d'esser l'unico spirito senza
pregiudizi e paraocchi ; senza falsità, sciocchezze e bestialità
in testa ; il solo capace di sbandire gli inganni
e di buttar giù gli usurpatori ; di spopolare l' intero
walhalla dei vecchi dei e degli idioti moderni ; di spogliare
ogni cosa, ogni idea, dai ruffianeschi veli dell'abitudine,
e della convenzione ; di liberare l'umanità
da tutte le obbrobriose servitù mentali che la impastoiano.
Volevo liberare (cioè, secondo l' idea mia,
aiutare) quelli stessi che disprezzavo e li disprezzavo
appunto perchè non eran liberi e appunto perchè erano
spregevoli volevo liberarli.
Volevo inalzarli fino a me e non già chinarmi fino a loro.


Per renderli uomini facevo lor sentire ch'eran bestie;
per dimostrare il mio amore li picchiavo.
Se mi abbassavo era soltanto per frustarli,
per divertirmi. Volevo renderli degni di me, del mio
tipo ideale di umanità tutta libera, tutta spirito, tutta
miscredente d'ogni fede.

Ma non volevo destarli colle buone e colle carezze :
bensì squassandoli e pigliandoli per il petto e sbattendoli
contro il muro perchè dall' ira e dalla vergogna
di quel rude risveglio venisse fuori uno scatto
d'energia, una mossa sdegnosa di virilità. Mi comportavo
cogli uomini come i domatori colle belve mezze
istupidite e assonnate dei serragli. Li pungevo, li bruciavo
e li frustavo : li pungevo coi più feroci sarcasmi
ch'io sapessi trovare ; li bruciavo colle parole dure
e spiacenti e colle accuse spietatamente sincere; li frustavo
mostrando loro quant'eran vigliacchi nella vita,
umili nei desideri, primitivi nelle idee, ignoranti in
ogni cosa e assolutamente incapaci di capire a fondo
e di ragionar diritti.


Mi piaceva molto, ad esempio, turbare le coscienze
con domande impensate, gravi, fondamentali — con
una di quelle domande che nessuno fa mai e che paiono
magari assurde ed inutili, di quelle domande che nessuno
osa rivolgere neppure a sé stesso e che pure rimettono
in questione le più consuete idee del mondo,
tutti i valori, tutta la vita. Volevo costringere gli
altri a riflettere, a pensare, a riesaminare sé stessi, la
propria anima, il loro futuro, i loro ideali ; volevo ricacciare
ognuno dentro di sé, là dove non si scende
volentieri ; e metter ciascuno faccia a faccia con sé
medesimo, per ravvedersi, per prender altra via, per
accelerare il passo, per non dimenticare — se ancora
era in tempo. Molti hanno dovuto a me un risveglio
di coscienza, una crisi di abbattimento che li ha
rifatti uomini e li ha rimessi sulla strada con forza
nuova. Fra questi eterni e pigri dormenti che sono
gli uomini é pur necessario che qualcuno abbia il
coraggio di gettare il chi va là della scolta,
e di suonar la diana prima del solito mattino, e dar qualche
cenciata ai rossetti che impiastricciano i volti perchè
ognuno veda con spavento la sua bruttezza e vecchiezza.

Chi non ha la forza di guardarsi in viso si trucchi di
nuovo e reciti pure la parte del galantuomo anche s'è
una canaglia e la parte del genio se pure è uno sciocco.
Non m' importa : il mio dovere l'ho fatto !
Odiatemi pure e maleditemi e scansatevi al mio
passaggio. Non si rifanno gli uomini coi cerotti e l'omeopatia.
Ci voglion cure radicali e feroci. Bisogna tagliare
dove è da tagliare ; e bruciare dove c'è il marcio;
e portar fuori dal soffice nido delle abitudini chi non
conosce la fresca furia del vento e la salutare gelidità
della neve se non traverso i vetri di casa sua. E se
l'aria vi mozza il respiro e vi soffoca tanto peggio per
voi e tanto meglio per i becchini.

Io non mi pento d' essere stato troppo franco e
attaccabrighe. Non so giovare che tormentando; non
posso amare se non disprezzando.

(Giovanni Papini)