venerdì 22 giugno 2012

arjuna

Ecco un modo interessante di "amare" il prossimo: scoprire ed individuare le gangrene che gli corrodono e corrompono lo spirito; scovare e illuminare le oscure forze distruttrici che lo trascinano verso l'oscurità e il baratro...
Tuttavia il sapore della maledizione è troppo personale ed intimo perchè lo si voglia condividere
con occhi indiscreti: e così non troverete quasi mai qualcuno che
vi sarà riconoscente per avergli indicato la propria piaga.
Vi chiederete: e perchè mai dovrebbero interessarti le piaghe altrui?
Io naturalmente non vi risponderò, per farvi un torto.

Ecco la mia opera...

Quando un'anima pia (un a.r. o un grey ad esempio) si scandalizza dinanzi a parole
evocatrici come "fallito" o "fallimento", essa ci mostra innanzitutto il proprio puerile terrore dinanzi
ad una piaga di cui è portatrice; e non anche, invece, una superba superiorità e indifferenza al destino, sopratutto quando è avverso (Paterbaldi).
Destino, si badi, che non esiste: solo chi, esangue, ha esaurito la propria forza e smarrito la propria volontà può infine "piegarsi" ad un'idea talmente astratta ed insignificante.

Laddove (nella disgrazia) il superiore resta calmo e padrone di sè, l'infero invece si consuma.
Si sappia dunque, una volta per tutte, che io amo taluni "falliti": perchè in essi vedo
potenziali resurrezioni.
Se poi essi affonderanno, pazienza.
Ad alcuni "orientalisti" da strapazzo, che consultano i Ching prima di uscire di casa o farsi una pippa, che barcollano nel buio e cui tanto repugna l'idea di fallimento,
ricordiamo provocatoriamente il principio espresso nella Bhagavadgita dal dio krishna: non il vincere, non il fallire, non il risultato, deve guidare l'azione; ma solo l'aver adempiuto al proprio dovere.
E non chiedetemi quale sia o in cosa consista questo oscuro "dovere" di cui parla il dio:
ognuno, infatti, è libero di interpretare come vuole.
L'unico dovere ammissibile, è quello impostoci dalla nostra coscienza, di là di ogni contingenza.
E tanto basti.


Infine, buttiamo giù la maschera: Alex Colosi è un fascista.
E, se non è orgoglioso di esserlo perchè ritiene l'orgoglio una forma d'idiozia, di certo non se ne dispiace; per lui essere fascista è una necessità fisiologica...
Non c'è libertà: c'è liberazione.
Non c'è eguaglianza: ci sono vette e valli, aquile e scarafaggi, iddii e bestie.
Non c'è fratellanza: c'è il baratro del sangue e dello spirito, ineffabile.
Infine non c'è altro che se stessi: e basta.

Xela disprezza l'universale per conto della unicità.
Xela onora chi, sferzato dalla tormenta, avanza; chi, nel silenzio gelido della solitudine, coltiva la propria forza.
Xela se ne fotte, di tutto e di tutti.
E a coloro che in lui vedono un folle, rivolge un sorriso gentile: vadano pure a giuocare o a fare un sonnellino, se vogliono.



Ma alla fine poco importa cosa sia o cosa voglia Xela.
Che raggiunga le vette dei titani o ristagni nelle paludi dello Stige, solo egli lo stabilirà.