giovedì 7 ottobre 2010

sragione

"I sistemi assiomatici e deterministici hanno perduto la loro consistenza e rivelano un difetto intrinseco. Questo difetto non è tale in realtà: è una proprietà del sistema [...]. L'Accidente non è una eccezione nè una malattia dei nostri regimi politici [...]: è la conseguenza naturale della nostra scienza, della nostra politica e della nostra morale. L'Accidente fa parte della nostra idea del Progresso.
L'Accidente è diventato un paradosso della necessità: esso possiede la fatalità di quest'ultima e l'indeterminatezza della libertà. E' il ritorno dell'angoscia degli atzechi, sia pure senza presagi nè sogni celesti. La catastrofe diventa banale e irrisoria, perchè l'Accidente, in fin dei conti, non è che un accidente" (Octavio Paz)

C'è un paradosso della razionalità moderna e borghese sulla morte.
Concepire quest'ultima come naturale, profana e irreversibile costituisce il segno stesso dei "Lumi" e della Ragione, ma entra in acuta contraddizione con i principi della razionalità borghese :valori individuali, progresso illimitato della scienza, dominio della natura in ogni cosa.
Neutralizzata come "fatto naturale", la morte diventa sempre più uno scandalo.

Come la società, normalizzandosi, fa nascere alla sua periferia i pazzi e gli anormali, così la ragione e il dominio tecnico della natura, approfondendosi, fanno nascere intorno a sè l'errore, l'accidente, la crisi.
La crisi diventa insopportabile perchè la ragione, che pretende di essere sovrana, non può nemmeno pensare ciò che le sfugge; allo stesso tempo la crisi è insolubile perchè non esistono più dei rituali di propiziazione o di riconciliazione: così l'accidente, come la morte, è assurdo, punto e basta. E' un sabotaggio. Un demone maligno è all'opera per far si che questa macchina tanto bella si guasti sempre.
Così questa cultura razionalista è affetta, come nessun altra, da paranoia collettiva.
Per gli antichi ciò non esisteva. Niente sfuggiva al loro sistema di scambio. Persino le catastrofi naturali e la morte erano intellegibili nel quadro delle loro strutture sociali, mentre da noi la morte è paralogica, è la paranoia della ragione, i cui assiomi generano ovunque l'inintellegibile assoluto, la morte come resistenza assurda e malvagia d'una materia, d'una natura che non vuole sottomettersi alle leggi "oggettive" in cui è stata cacciata.
D'onde il fascino per la catastrofe, l'accidente, l'attentato: è la ragione stessa, braccata dalla speranza d'una rivincita universale contro le sue stesse norme e i suoi privilegi.