martedì 5 ottobre 2010

fatuum

Se considero attentamente la vita che gli uomini conducono, non vi trovo niente che la differenzi dalla vita degli animali.
Gli uni e gli altri sono gettati incoscientemente nelle cose e nel mondo; gli uni e gli altri si divertono a intervalli, fanno quotidianamente lo stesso percorso organico; non pensano al di là di quello che pensano e non vivono al di là di quello che vivono.
Il gatto si crogiola al sole e si addormenta.
L'uomo si rotola nella vita, con tutte le sue complessità e poi dorme.
Nè l'uno nè l'altro si liberano della legge fatale di essere come sono. Nessuno cerca di sollevare il peso di essere.
Solo i mistici cercano di scrollarsi di dosso la legge animale.
Costoro, anche se in modo assurdo, tentano effettivamente di negare la legge della vita, rotolandosi nella luce o nell'ombra e attendendo la morte senza pensare ad essa.
Cercano, anche se immobili; anelamo, seppure in una cella senza luce; desiderano quello che non conoscono, sebbene nella rinuncia, nel martirio auto inflitto, nel dolore imposto.
Tutti noi che viviamo come animali con una maggiore o minore complessità, attraversiamo il palco come figuranti che non parlano, contenti della vanitosa solennità del tragitto.
Cani e uomini, gatti ed eroi, pulci e geni, giochiamo a esistere, senza pensarci (perchè i migliori pensano solo a pensare) sotto la grande quiete delle stelle.
Gli altri, i mistici della rinuncia e del sacrificio, perlomeno sentono -con il corpo e la quotidianità- la presenza magica del mistero.
Sono liberati perchè negano il sole visibile; sono pieni perchè si sono svuotati del vuoto del mondo.
Non sarò mai un mistico. Al massimo sarò, in versi o in prosa, un impiegato del pensiero.
Sarò sempre, nel misticismo o senza misticismo, servo delle mie sensazioni e dell'ora di averle.
Sarò sempre, sotto il grande baldacchino azzurro del cielo muto, il paggio di un rito incompreso, finchè la festa non finisca e infine il meriggio non si schiuda alla sera.