giovedì 21 ottobre 2010

il doppio

Le attuali tecniche di riproduzione dell'informazione, di tutte le informazioni possibili, aprono uno scenario salvifico inquietante, rendono l'uomo e ogni cosa una sorta di immortale, lo trasformano sub specie aeternitatis da uomo in dio.
L'informazione è l'anima del mondo.
La digitalizzazione e (in misura minore) la genetica sono di fatto la nuova parusia, la promessa di una reincarnazione definitiva qui e ora, senza più il pericolo della temuta corruzione dei corpi e della materia.
Se le informazioni, come l'energia, non possono morire, non possono essere distrutte e possono trasmettersi all'infinito, è chiaro che l'immortalità diventa a portata di mano.
Il piano tecnologico ha soppiantato quello metafisico.
Non c'è più bisogno di una metafisica, di scomodare Dio, di superare le barriere della impura materia quando l'immortalità si può ottenere nell'aldiquà, con la semplice fisica.
Una volta occorreva ingravidare per, in parte, reincarnarsi nella nuova vita; nella prole ogni genitore proiettava sé stesso oltre sé stesso, nella speranza della generazione e contro la morte.
Oggi tutto questo sta per essere superato.
Siamo un insieme di informazioni digitalizzabili, perciò basta un supporto, magari un hard disk di qualche tetrabyte, per reincarnarci nella simulazione assoluta.
Niente sfugge. Solo informazioni.
Basta solo estrapolarle e riprodurle...
Typler, coerentemente, fa di tutto ciò un paradiso, anzi, l'unico paradiso possibile perchè negli oltremondi della religione non ci crede neanche lui.
Così finalmente tutto è perfetto perchè sottratto alla morte.
Epurata dalla caducità, la nuova vita irraggia l'unica verità possibile, ossia quella della tecnica.
Afferrato il segreto dell'immortalità (l'informazione digitale) finalmente l'uomo può proclamarsi nuovo dio.
Prometeo si è liberato...

Eppure all'apice della performance tecnologica, all'apice della informazione assoluta, è come se un cancro ci stesse divorando dall'interno, lavorando contro di noi, sovraccaricandoci di un eccesso di informazioni.
Accerchiati dall'informazione, braccati da essa in ogni momento della vita, ne proviamo infine nausea, rigetto, come un veleno che ci viene somministrato e introiettato senza che lo vogliamo...
A furia di sviscerare la materia abbiamo scoperto dei nuovi atomi, senza capire che ogni scoperta è un omicidio.
E ogni scoperta esige la sua vendetta.
Sottratti alla morte esigiamo la morte.
Ingozzati di informazioni le vomitiamo per liberarcene.
Pervenuti alla povera verità che noi stessi siamo un'accozzaglia di informazioni e che possiamo essere persino riprodotti e simulati infinite volte, ci viene una salutare voglia di suicidio, quasi a voler ripristinare un'originalità perduta.
Ogni simulazione è un'esecuzione capitale di ciò che chiamiamo l'originale.
Ma per fortuna niente è identico, nemmeno due gemelli.
Nonostante tutti gli sforzi, lasciamo ovunque tracce d'imperfetto -virus, errori, lapsus, germi, catastrofi- come le impronte di un apprendista maldestro.

Di fatto ogni informazione è fine a sé stessa: tende alla sua conservazione e riproduzione. Si autonomizza, come fanno i figli, alla faccia dei genitori.

Effettivamente tutti questi poveri malati d'eternità, dopo aver seppellito i fantasmi della metafisica, della religione, dell'idealismo, del materialismo, della psicoanalisi, sembrano avere ancora spazio e voglia per accogliere i nuovi spettri digitali: c'è un'ebbrezza insopprimibile in ogni odore di salvezza.
Eppure l'apprendista stregone si scopre nuovamente triste: il suo esperimento (e con esso il suo desiderio) gli è scappato di mano.
Il suo doppio, figlio dell'informazione digitale, gli sorride al di là dello schermo, perfetto e incorruttibile.
Ma quel sorriso non è il suo.
E alla fine, a ben vedere, l'apprendista non sa che farsene di un altro sé stesso.
Il doppio sfugge sempre, come l'ombra sfugge al corpo che la proietta.
L'ombra si beffa di noi...