giovedì 23 gennaio 2014

la parca

Quando quattro anni fa cominciai
questa mediocre composizione di scritti,
sotto la forma di un diario aforistico,
ero nel pieno di una profonda crisi nervosa.
Sentivo ancora
il fiato della morte
che mi era passata accanto
occludendomi una coronaria.
Partii con lo zio Borrado per l'Egitto,
paese abietto,
in cerca di lavoro.
Andò male.
Furono due mesi orribili
di pippe, solitudine e noia mortale.
Scrivevo cosucce patetiche,
come oggi del resto,
che mi costarono l'amicizia
di un uomo straordinario:
Lando Bradone,
noto come il Saruman dei Landi.
Così tornai a Zelletri,
presso il notaio Renzi
e il maestro e amico Mario Prodi.
Con il magnanimo Prodi mi divertivo:
passavamo più tempo al bar
a mangiare cappuccini e cornetti
o dentro pescherie e negozi d'antiquariato
che dinanzi agli scranni dei giudici.
Che minchia dovevamo fare mentre
l'abominevole macchina giudiziaria
italiana impudridiva?

Ormai avevo le idee chiare:
quel mestierucolo da avvoltoi
intriso di falsità, soverchieria e
miserabile retorica
non faceva per me.
Io anelavo l'antico ius,
la spada e la bilancia,
la giustizia concisa
del giureconsulto romano,
non l'accozzaglia confusa
e contraddittoria
delle leggi e della monnezprudenza italica.

Abbandonai così per sempre
il verminaio degli avvoltoi.
Mi parve la fine di un incubo.
Nonostante l'infarto
mi ripresi completamente:
correvo, nuotavo e fottevo
come gli stalloni.
Gettai tutti i medicinali nella spazzatura
(salvo l'asburina che ogni tanto prendo ancora).

Per comprare qualche libro,
i videogiochi e amare le mignus,
(a quei tempi c'erano Riza,
la rumena diciottenne Alessandra,
e la transfuga Noemi)
mi misi a vendere olio d'ulivo
a ricchi industriali veneti
per conto di Mario Prodi
e la signora Averno.
Avevo finalmente tempo da dedicare a me.

Letterariamente questo momento coincise
con l'amicizia di un uomo particolare:
il Patucchi.
Egli, dopo la breve parentesi del
minorato f.bux minchiarelli,
divenne il mio pupillo.

Cosa ci accumunò?
La ricerca disperata della patacca
e dell'amore.
Il Patucchi, col frenulo ancora intatto
e dopo tredici anni di pippe,
attratto dalle giovani mignotte rumene,
con la bava alla bocca
decise di emulare il mio esempio.

Dopo tre anni però
il sodalizio si sciolse:
il Patucchi
pentito d'aver sborrato fiche
che mai più sborrerà gratis,
è ritornato alle consuete pippe solitarie;
mentre io,
incapace d'amarmi da solo,
servo d'una tentazione assoluta,
sborro con potenza e devozione
Michela.

Col Patucchi si chiude un'era.

La fanciullezza è interiore dicono.
Falso!
La messinscena della giovinezza
può ingannare l'asino,
non l'occhio prudente della Parca.

E così, non potendo tornare più giovinetto,
vorrei un fanciullo.
Da amare come amico, fratello e figlio.
Da educare e condurre sul sentiero
del mondo e della Bellezza.

Il compito sarebbe arduo.
Eppure tenterei lo stesso.